Il
processo mediativo è un approccio alternativo alla risoluzione delle dispute
familiari e si differenzia dai processi di arbitraggio, negoziazione e terapia.
La mediazione familiare può essere definita come un
… processo attraverso il quale i genitori separati o in via
di separazione si rivolgono liberamente ad un terzo neutrale, il mediatore, per
ridurre gli effetti distruttivi di un grave conflitto che interrompe o disturba
la comunicazione fra loro …[1]
non
è quindi una terapia di coppia e non si analizzano comportamenti del passato ma
al contrario si cerca di raggiungere accordi su decisioni future. La mediazione
è un processo di self - empowerment in
cui le parti gestiscono il processo mediativo, con l’aiuto del mediatore che
ricopre il ruolo di facilitatore della comunicazione e deve aiutare i
confliggenti ad attuarne una chiara e funzionale. La mediazione è un processo
che esalta la responsabilità personale dei mediati: il risultato della
negoziazione è quindi fondato sulla capacità dei soggetti a trovare una
soluzione che risulti accettabile per entrambe le parti. Il mediatore ha il
compito di assisterle sollecitandole alla collaborazione per la risoluzione dei
problemi, grazie al suo aiuto possono riuscire a individuare i bisogni e gli
interessi reali, differenziandoli dalle loro posizioni. Il mediatore è un agente
di cambiamento, deve indurre i soggetti ad appropriarsi delle tecniche di
comunicazione adeguate per riuscire a essere compresi e comprendere l’altro,
perché i mediati sono gli unici attori del processo mediativo e soltanto loro
possono decidere quale risultato otterranno dagli incontri. Il mediatore ha il
compito di riattivare una comunicazione che si è interrotta, trovare un terreno
comune, sul quale si possa costruire e lo fa attraverso l’uso consapevole di strategie
e tecniche appropriate, caso per caso. Ogni mediazione è diversa perché di
volta in volta, cambia il “materiale umano”, persone tra loro diverse per
istruzione, cultura ed esperienze pregresse. Il compito del mediatore, prima di
iniziare il processo mediativo (in fase di premediazione) è di appropriarsi del
linguaggio dei soggetti e calibrare il suo intervento sulle persone che ha di
fronte. Il mediatore diventa uno specchio che
riflette le emozioni dei protagonisti e li aiuta a “oggettivizzare” il
conflitto, cercando di far emergere (e capire) l’interesse nascosto dietro la
posizione di ognuna delle parti; aiutandole a comprendere reciprocamente questi
interessi. Il mediatore, quale terzo neutrale, dovrebbe riuscire a non
giudicare i mediati ma anzi facilitarli nel raggiungimento di un accordo,
rimanendo estraneo, non implicato e soprattutto non condizionato da convinzioni etiche, politiche,
religiose e ideologiche. Il mediatore deve porsi di fronte ai confliggenti con
lo spirito del ricercatore che osserva, annota, dispone degli strumenti per
comprendere la situazione e fornisce le parti dei mezzi necessari a ristabilire
la comunicazione interrotta.
A volte può capitare che
interrompa una mediazione se crede di non riuscire a mantenere la giusta
equidistanza – equivicinanza dai mediati o quando si sente coinvolto perché
toccato da un argomento che provoca sentimenti difficilmente controllabili.
Il ruolo del mediatore
non è quello di suggerire la soluzione preconfezionata ai soggetti ma al
contrario di metterli al corrente che esiste sempre una terza via possibile che
permetta a entrambi di vincere (win - win).
…il mediatore familiare, che è un
terzo neutrale e qualificato, deve consentire alla coppia di trovare per
proprio conto le basi di un accordo durevole e accettabile…[2]
La figura del mediatore
riveste un ruolo importante all’interno di un percorso mediativo ma non si
sostituisce mai alla coppia che dovrà trovare da sola un accordo capace di
soddisfare entrambe le parti. Il mediatore deve essere libero da
condizionamenti, presupposto essenziale per poter percepire la situazione
liberamente, non influenzato da pregiudizi personali, e garantire ai mediati la
giusta imparzialità. Parlare di imparzialità del mediatore non significa affermare
che i suoi giudizi, i suoi valori e le sue emozioni siano del tutto assenti o
azzerate; queste continuano ad esistere in uno “luogo” accessibile soltanto nel
momento del bisogno, all’interno dello spazio mediativo ma in modo che non
infastidiscano i soggetti.
«… l’apporto personale, la proiezione della competenza, imparzialità,
coerenza, esecuzione ed empatia …»[3]
sono i fattori determinanti affinché si possa creare, tra le parti e il
mediatore, un clima di generale fiducia e conseguentemente un’atmosfera
tranquilla e produttiva.
[1]
Cfr., F. Scaparro, Etica della mediazione
familiare, in R. Ardone, S. Mazzoni, La
Mediazione familiare. Per una regolazione della conflittualità nella
separazione e nel divorzio, Milano, Giuffrè Editore, 1994, pp. 53-61.
[2]
Cfr., M. Laroque, La promozione della
mediazione familiare e le diverse esperienze europee, in R. Ardone, S. Mazzoni,
La mediazione familiare, op. cit., p.
70.
[3]
Cfr., Bernard Mayer, La mediazione
facilitativa, in Manuale di
mediazione familiare, a cura di Jai Folberg, Ann L. Milne, Peter Salem,
Roma, Firera & Liuzzo Group,
2008, p. 58.
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