Quando si
parla di Vudu, si è di solito
tentati di confonderlo con una specie di rito magico tendente, nel migliore dei
casi, a risvegliare i morti , “zombi”, per fini tuttaltro che positivi. Credere
a tutto questo fa chiaramente parte di un retaggio culturale mediato
dall’ignoranza di quello che rappresenta veramente il Vudu: “una religione di
popolo”.
Religione
che si è sviluppata in tutto il suo massimo splendore ad Haiti, ma che nasce da
antichissime tradizioni Africane. Il Vudu è una religione sincretica che si è
evoluta e si è sviluppata in tutto il mondo grazie al fenomeno della schiavitù,
che ha contribuito a modificarla e ad arricchirla di molti elementi nuovi.
Parlavamo di sincretismo; questa religione piena di dei, chiamati loa o
“misteri” nel sud, “santi” nel
nord, una volta entrata in contatto con la religione cattolica ha assimilato i
suoi santi, creando delle liturgie molto particolari. Ad Haiti, dove i bianchi
sono scomparsi, il Vudu ha avuto modo di evolversi per costituire una vera
religione “nazionale”.
Dall’Africa
permane l’idea che questi loas formino
delle famiglie (fanni); raggruppamenti di divinità dello stesso nome, distinte
solo da un qualificativo: per esempio, la famiglia degli Ogou, comprende il padre, Ogou
Badagri, che è generale, Ogou
Ferraille, protettore dei soldati, Ogou
Ashadé, che conosce le piante medicinali, Olisha, stregone, Ogou
Balindjo, guaritore e generale, ecc...
L’ultima
modificazione da rilevare, rispetto al culto originale Africano, è la creazione
di una organizzazione di questi loa
in una nuova setta, nata nell’isola
nel 1768, sotto l’influenza di un negro d’origine spagnola, Don Pedro.
Abbiamo
così ad Haiti due grandi tipi di culti, il culto del Vudu Rada collegato
all’Africa, e il Vudu Petro, completamente creolo. Le confraternite di iniziati
sono dirette da sacerdoti, Hougan o
Papa-loa e da sacerdotesse, Mambo
o Maman-loa; i membri, anche se di
sesso maschile, si chiamano Hounsi,
cioè spose degli dei.
Esiste
tutto un complesso di funzioni liturgiche, quali la “Reine-Chauterelle” che intona i canti liturgici o li interrompe, il
“La Place” che è il maestro di
cerimonie, “la Confiance”
amministratore del tempio, i “Porte-Drapeaux”
che giuocano con le orifiamme della setta, i “Musici” (tre suonatori di tamburi).
Il
santuario (Houmfo’) comporta
necessariamente la capella degli dei (cayemistère),
dove si trova l’altare in muratura (pé)
sul quale vengono deposti i piatti sacrificali - la stanza dove si realizza la
parte segreta del rituale di iniziazione (djévo)
- il peristilio o terrazza aperta, dove si celebrano le cerimonie pubbliche,
con un palo centrale (poteau-mitan)
attorno al quale si gira la ronda degli hounsi
e ai cui piedi i sacerdoti disegnano sul suolo, con farina finissima, i
simboli dei loa, detti vévé e il cui compito è come per la
musica, di chiamare gli dei perchè discendano sui loro cavalli - infine il
giardino con bacino d’acqua per il culto dei loa acquatici, la croce nera dei Guédé con su una bombetta e indosso una redingotte, e gli alberi -
sede dei loa, da cui pendono stracci
e sacche adibite a ricevere le offerte dei visitatori; ogni loa infatti è collegato ad un albero
dato, per esempio Legba al
ricino-benedetto, Damballah Oueddo al cotone, ecc...
INIZIAZIONE
Si entra
nella confraternita mediante iniziazione, che continua quella Africana, con
dapprima un rito di separazione dalla vita anteriore, segnato dal Chiré aizan (azione di stracciare le
foglie di palma, che simboleggiano, una volta sfilacciate, la separazione tra
sacro e profano), la fustigazione dei candidati, il primo apprendimento dei
saluti, passi di danza ecc..., infine la consacrazione delle novizie distese
per terra attorno al poteau-mitan, su
cui viene versata dell’acqua e si disegnano delle croci; quando queste lasciano
il peristilio, tutti i presenti piangono; perchè sono “morte”. Entrano allora nel djevo,
dove rimarranno per sette giorni distese su stuoie come cadaveri, sottoposte a
tabù alimentari e sessuali. Le cerimonie che vi si svolgono sono segrete;
sappiamo tuttavia che vi si celebra il pot-tête, il laver-tête, e la verifica
del Mait’tête.
Si nominano
tutti i loa a cominciare da Legba
finchè al nome del Mait’tête la novizia cade in transe; infine alla vigilia
dell’uscita, il sacrificio di un pollo sulla testa della futura Hounsi. Vengono
infine i riti dell’uscita e della resurrezione, il brulé-zin (così detto perchè
la parte essenziale della cerimonia consisterà nel far bruciare degli oggetti
dentro delle giare, chiamate zin, e enl purificare col fuoco la nuova iniziata)
- il battesimo (imposizione di un nuovo nome) da parte del “padre savana”; da
questo momento sono Hounsi-Kanzo.
Per
quarantuno giorni resteranno tuttavia in stato di semi-reclusione, poiché sono
in uno stato di debolezza tale da renderle più fragili agli attacchi degli
stregoni, usciranno solo un momento il diciottesimo giorno per andare a
mendicare al mercato finalmente il quarantunesimo giorno, ripeteranno per
l’ultima volta le lezioni imparate (saluti, danze, cantici), riceveranno la
collana del loro Vudun e abbandoneranno le vecchie vesti per indossarne delle
nuove. Si può vedere che, al contrario di quanto è successo per la mitologia, i
riti africani, sostenuti dalla memoria motrice, si sono perfettamente
conservati.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver deciso di lasciare un tuo commento 🙏