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martedì 12 novembre 2013

Emigrare tra sogno e necessità - in "Quaderni di Impegno Sociale" - Speciale Immigrazione in Umbria

di Tiziano Borghi

 Le migrazioni, il migrare, fanno parte di quella fenomenologia che Fernand Branduel aveva inscritto all’interno della Longue durée cioè di quegli accidenti storici che continuano nei secoli, viaggiando con una loro velocità propria, quasi incuranti degli avvenimenti considerati come mere increspature nell’oceano della storia. Certo gli accadimenti politici, economico-sociali hanno condizionato e determinato il flusso migratorio, ma rimane l’attitudine antropologica degli uomini a fuggire dalle zone dove non riescono a sopravvivere, per trasferirsi in luoghi ritenuti (o sperati) migliori. Ogni migrante parte sempre con una Speranza, un’Illusione, un Sogno. Nessuno emigra senza una promessa. E mentre in passato si inseguivano i racconti di chi aveva già emigrato oggi l’immagine dell’occidente viene mutuata dai media con contenuti quasi mai rispondenti alla realtà. Le migrazioni
attuali sono strettamente legate al problema del sottosviluppo e alle dinamiche politiche interne di paesi afflitti da guerre. All’immigrazione è legato il processo di integrazione. Il ruolo dell’istituzione
scolastica è fondamentale per agevolare l’inserimento sociale degli stranieri e dei loro nuclei familiari all’interno di una comunità, sostenendoli nel loro percorso di integrazione attraverso una particolare forma di transfert scuola-bambino-genitori. La scuola agisce indirettamente ma beneficamente sui nuovi arrivati, mettendo in contatto culture diverse, favorendo in alcuni casi la revisione di stereotipi e pregiudizi negativi in entrambi i sensi del processo comunicativo immigrato vs comunità ospitante e viceversa. Spesso si è culturalmente impreparati a vivere con persone portatrici di culture differenti e diverse tradizioni, si cerca di non avere più contatti del necessario innescando un processo di autoesclusione da parte dello straniero e di chiusura verso l’esterno, che la comunità ospitante potrebbe avvertire come ostilità nei suoi confronti. Sarebbe opportuno percepire l’immigrato
non come un analfabeta e un totale altro da sé ma come un individuo formato altrove, portatore di un altro retaggio culturale: diversi codici linguistici, di comunicazione e un diverso modo di vivere la religiosità. La distanza tra lo straniero e la popolazione ospitante deve essere uno stimolo verso una
maggiore comprensione della diversità, evitando che si inneschino sia da una parte che dall’altra, quelle resistenze culturali capaci di isolare gli uni e gli altri in ambienti artificiali e autoescludenti.

 

Operatore della Coopsociale ACTL

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